" Recensione Folklore: quando le nostre leggende prendono vita". Antologia Watson Edizioni















Ciao a tutti e a tutte, micetti e micette, oggi vi parlerò di un'antologia davvero spettrale le cui storie affondano le radici in leggende dimenticate, orrori celati negli antri oscuri e storie sussurrate in compagnia del vento notturno.
"Folkore: antologia fantastica sul folklore italiano" riscopre storie quasi perdute, dando loro nuova linfa. Perché il folklore italiano è ricco di tradizioni e storia, non ha nulla da invidiare alle altre culture.
Streghe gatto, Ombre malefiche, lupi mannari e spiritelli vari, Folklore vi catapulterà nelle storie di ogni regione.

Ma prima di addentarmi in una recensione, vorrei chiedervi: avete occhi stanchi? Problemi con la vista? Molto probabilmente questo sito potrebbe fare per voi.
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«Folklore non è un libro per bambini. È un grimorio maledetto, che ci piace immaginare riscoperto dopo tanti anni magari proprio sotto qualche brace.» Si apre così l'antologia, con questo avvertimento.
Folklore è storie adulte, crude, capaci però di fare sognare. Magari in futuro potrei fare un confronto con Bestie d'Italia, altra antologia che tratta di folklore. Penso che sarebbe una sfida molto interessante.

Ad ogni modo, Folklore ricopre piú o meno ogni regione d'Italia e devo dire che ho scoperto diverse creature di cui ne ignoravo l'esistenza. Avviso che tale recensione potrebbe contenere qualche spoiler, anche se mi sono molto limitato.




(Il gatto nero, la morte cervide, un pentolone con cibo di dubbia provenienza e una maschera a forma di teschio. Pochi elementi che racchiudono l'atmosfera raccapricciante e grottesca del libro)


Vi elencherò i venti racconti partecipanti e la regione che trattano, ma approfondirò solo quelli che mi hanno colpito di piú.

Sampir di Donato Altomare ( Puglia).
Ombre di Caterina Armentano ( Calabria).
Sorrejusta di Andrea Atzori ( Sardegna).
La Galorcia di Andrea Bernachi ( Toscana).
È un mondo oscuro di Angelo Berti ( Emilia Romagna).
Il Sigar del bosco di Davide Camparsi ( Veneto).
La vera storia di Pietro Micca di Maurizio Cometto (Piemonte).
Ru Cierve di Enzo Conti (Molise).
La notte di San Giovanni scritto da Luigi De Pascalis (Abruzzo).
Super Aspidem Et Basiliscum Ambulabis di Cristiano Fighera ( Umbria).
Toc-Toc di Alessandro Forlani ( Marche).
La peste di Napoli di Andrea Gualchierotti ( Campania).
Il dono della Benandante di Annarita Guarnieri ( Friuli Venezia Giulia).
Il vescovo e il Diavolo di Alberto Henriet (Valle d'Aosta).
Lupi ominari e donne di foresta di Mauro Longo (Sicilia).
Occhio e u Lenghelu di Adriano Monti Buzzetti (Lazio).
Glossa Tyche, Glossa Daimon di Loredana Pietrafes ( Basilicata).
Danza Macabra di Fabiana Redivo (Trentino).
Il Tesoro dello Spettro di Yuri Zanelli ( Liguria).
E fine della storia di Alfonso Zarbo (Lombardia).

Come detto in precedenza, approfondirò solo i racconti che piú mi hanno colpito.

Iniziamo con la prima che ho apprezzato: Sampir. Vedete, di solito nelle leggende italiane non ci sono dei non morti puri come li intendiamo noi: sono sempre mescolati ad altre figure. Abbiamo ad esempio le Cogas, streghe vampire, mentre una delle figure piú simili ai non morti sono i Regninsàori della Lessinia, che possono rappresentare sia i redivivi che i fantasmi.
Sampir è il nome del vampiro nel folklore albanese, e dato che geograficamente Puglia e Albania non sono così lontane, nei secoli si sono influenzate a vicenda, e in Puglia sono presenti dei dialetti di origine albanese, per la precisione della lingua parlata secoli prima. Abbiamo anche esempi di lingue locali discendenti dal greco del quindicesimo secolo. Reperti storici, signori e signore!
Il vampiro inoltre ha subito diverse trasformazioni, pensate che in origine era una cadavere rianimato che assorbiva il sangue tramite contatto e solo con i romanzi di Polidori e Bram Stoker si è convertito in una figura aristocratica e perfettamente mimetizzata nella società. Insomma, Jojo non ha inventato nulla.
Ho apprezzato questo racconto non solo per la chicca folkloristica, ma anche per il fatto che riprende i vampiri originali, piú simili a morti che a vivi. Si citano anche gli stregoni benefici, che a volte sono semplicemente cacciatori di vampiri e in altre leggende sono addirittura vampiri benevoli.
Il racconto pare basarsi sul ritrovamento di due tombe anomale a Trani, dove scoprirono di corpi seppelliti in maniera curiosa. Erano proni, inginocchiati e sulle loro spalle vi era una pesante lastra di pietra, quasi a impedire a cadaveri di alzarsi. I personaggi purtroppo non mi hanno accattivato molto, questo è l'unico lato negativo del racconto.

Ora passiamo a Ombre. Che dire, si respira un'atmosfera cupa e pessimista fin dalle prime pagine. Questo è forse uno dei racconti con il maggior numero di creature fantastiche: abbiamo streghe gatto, male ombre ( ovvero, dei demoni del sonno), i giganti, u Monachiddu ( il Monaciello calabrese) e il Diavolo. Le streghe gatto mi ricordano molto le Gatte Masciare pugliesi, anch'esse in grado di diventare dei felini inquietanti.
Il personaggio principale è un antieroe, un uomo che cerca di sfuggire al destino clericale imposto dalla famiglia. Si troverà però coinvolto in un orrore peggiore della noiosa vita monastica.
La scena delle streghe gatto è davvero inquietante, così come l'apparizione del gigante. Mi ha un po' riportato alle atmosfere delle fiabe, ma quelle vere e senza censura, dove sangue e violenza andavano a braccetto.
Che dire, proprio a causa del fatto che la storia sia narrata in prima persona, non dona molto spazio alla psicologia degli altri personaggi. Questa potrebbe considerarsi l'unica pecca del racconto.

Il Sigar del bosco è un'opera interessante: fa un'attenta analisi folkloristica, linguistica e storica nei riguardi della popolazione cimbra. In Italia ci furono due ondate dei cimbri, ritenuti oltretutto due gruppi distinti: la prima accadde durante la repubblica romana, e i cimbri vennero quasi annientati. La seconda ondata venne nel medioevo, per motivi commerciali e demografici. I cimbri venuti dalla Germania sono nettamente diversi da quelli di epoca antica, anche se non si esclude che i primi possano discendere dagli cimbri antichi stanziati sul territorio tedesco.
Questo racconto è anche uno scontro tra fedi: abbiamo l'esempio tra due personaggi religiosi, uno fanatico e xenofobo, l'altro fedele all'ideologia di San Francesco e disposto ad accettare il diverso in quanto parte del Disegno di Dio. Le anguane sono le vittime di questa caccia spietata, un popolo misterioso e acquatico che si è mescolato agli "immigrati cimbri".
Ho apprezzato tale racconto proprio per la sua accuratezza e il finale devo dire che è d'effetto.

Ru Cievre è forse il racconto che piú di tutti mi ha colpito non solo per la sua crudezza, ma anche per la struttura narrativa. Questo è un racconto di vittime e carnefici la cui netta divisione è molto sottile. Il Re Cervo ( da non confondere con il personaggio di Pathfinder) è una figura folkloristica ricorrente nel folklore molisano, rappresenta la bestialità della natura che viene sconfitta dall'uomo. Questo essere è strettamente legato ai culti legati alla fertilità e rinascita.
Il nostro Re Cervo è in fuga da una cacciatrice e i suoi cani, ma mano a mano che assistiamo ai punti di vista della donna e della bestia capiamo che sono personaggi complessi: il primo era un signorotto locale particolarmente disgustoso e la seconda una serva della dea diana ( che successivamente dalla popolazione verrà riconosciuta con la figura di janara, una strega che pare essere la demonizzazione delle sacerdotesse dianare). Venne tramutato in una bestia per punire il suo comportamento malvagio, tematica molto cara a leggende e fiabe, ma la dianara non contenta l'ha costretto a una caccia eterna. Ed è qui che i ruoli si invertono, poiché la pena non è proporzionale al reato e non si è nemmeno data la possibilità alla persona di capire i suoi errori. Quindi il cervo è costretto a una pena eterna senza possibilità di riscattarsi, un destino peggiore della morte.
Altro elemento che mi ha particolarmente inquietato è la scena pseudozoofila presente nel racconto, dico pseudo perché il cervo ha una mente umana, però è abbastanza raccapricciante com'è descritta. Quando l'ho letto mi stavo chiedendo "ma cosa sta succedendo? Stanno davvero facendo quello che sto pensando?".
Il Re Cervo è quindi diventato un demone della natura, imbrigliato in una sorta di Caccia Selvaggia in salsa molisana.

La notte di San Giovanni è il racconto piú simpatico della raccolta. Ha un'atmosfera oscura, ma anche divertente, soprattutto grazie al duo del protagonista Bernardo e del folletto Sulserio (Scritto così). La storia si basa sulla leggenda secondo cui durante la notte di San Giovanni maghi e streghe escano allo scoperto per trovare erbe oppure offrire servigi ai mortali. Insomma, una sorta di Halloween ma a tema cristiano. Il folletto e il protagonista andranno ad assistere a un amplesso tra amanti, affrontando le insidie dei demoni e della magia. Il racconto potrebbe anche essere visto come il risveglio della sessualità di Bernardo, in quanto prossimo all'adolescenza, ma ancora ingenuo in fatto d'amore.  Come detto dall'autore, l'Abruzzo non ha una creatura distinta, ma una lunga tradizione medioevale.

La Galorcia ha una menzione d'onore, in quanto è il racconto che piú di tutti potrebbe avvicinarsi alla tematica "lovecraftiana". La Galorcia è uno spauracchio per spaventare i bambini, una strega bestiale che vive negli acquitrini e preda i bambini. Vi ricorda qualcosa? Esatto, Pennywise di Stephen King.
Nel racconto, la Galorcia è piú una creatura amorfa, un insieme di elementi bestiali, insomma pare proprio un essere uscito da un racconto di Lovecraft. Ma comunque, non è un essere totalmente malvagio e si scoprirà che forse le vere bestie sono altri. Non vi rovino il finale, ma è stato una goduria per me.


Lupi ominari e donne di foresta  è forse il secondo racconto che farei rientrare nel "simpatico" invece che "spaventoso", piú che altro per la natura grottesca della storia. Le due creature protagoniste sono il lupo mannaro siciliano, che per chi non lo sapesse odia salire le scale,  le donne di foresta, esseri a metà tra streghe e ninfe dei boschi, con una struttura sociale complessa. I personaggi principali sono due di briganti che fugge dalla legge e che si ritroverà a suo malgrado nella foresta infestata. Braccati dai licantropi, si arrampicheranno su un albero e scambieranno una bizzarra conversazione con la padrona di tali creature: una donna di foresta.
In questo racconto la figura del lupo mannaro pare quasi un mezzo d'espiazione dei propri peccati, la ninfa dice chiaramente che gli uomini colpiti dalla malattia si devono sfogare una volta al mese per poi rimanere buoni e tranquille nei giorni avvenire. In un certo senso l'ho visto come un ribaltamento della maledizione: se originariamente la licantropia era una punizione ( vedere il caso di licaone) nel caso di questo racconto è un mezzo d'espiazione dei propri peccati.


Danza Macabra è ovviamente un tributo a una lunga tradizione medioevale che raffigurava la morte  ballare tra i vivi. Era un modo per dire "memento mori", ricordati che devi morire, soprattutto in periodo di peste. La danza macabra è presente anche nella musica, con il capolavoro di Camille.
Nel racconto, la danza macabra è un espediente narrativo per risolvere un giallo: un pittore viene minacciato indirettamente di morte da un prete che pare irritato dal suo dipinto. Il protagonista verrà visitato da tre vecchiette, le Parche, che lo inviteranno a dormire nel cimitero per assistere a una scena del passato. Ed è proprio in tale luogo che vita e morte s'incontrano.
La morte in questo racconto assume una figura quasi da mentore e da giudice: guida il protagonista verso la sua salvezza, ma al contempo porta alla resa dei conti un personaggio maledetto a causa dei suoi peccati.
Altra tematica è quella della fatalità: alla domanda se esista il libero arbitrio oppure no, le Parche hanno semplicemente risposto che sono arrivate alla conclusione che non sia importante per loro. Anticamente, queste tre simpatiche nonnine con un occhio condiviso erano le detentrici del destino a cui nemmeno gli dei potevano opporsi, e che invece era Tanatos il vero dio della morte, il mietitore se così possiamo chiamarlo. Forse le Parche hanno compreso che la situazione del libero arbitrio è piú complessa di quel che sembra.

La tematica della morte viene anche affrontata in Sarrejusta e come ne Il Sigar del bosco, vi è anche uno scontro tra religione antica e cristianesimo. Siamo in una Sardegna sotto il dominio dei Borboni, il cui governo ha un rapporto alla "don Camillo e don Peppone" con i praticanti dell'antica religione. In pubblico se ne dicono di tutti i colori, ma nel privato sono costretti a collaborare. La morte qui è una forza inarrestabile a cui i protagonisti possono solo sottomettersi. Non è né buona né cattiva, porta solo calamità seguendo un ordine naturale sconosciuto all'uomo. Nelle leggende sarde, la Morte aveva il volto di teschio e indossava vesti bianche, percorreva le vie dei paesi su un grande carro che non era trainato né da buoi né da cavalli. Lo scrittore ha fuso la figura della morte con l'Accabadora, una donna vestita di nero che aveva la funzione di porre fine alle sofferenze dei malati e spesso associata alla figura della levatrice. Andrea Atzori è forse tra gli scrittori sardi piú famosi in Italia e sono rimasto soddisfatto di questo suo racconto.

È un mondo oscuro è un racconto molto triste, in quanto i veri mostri non sono gli spiritelli o altre creature, ma l'ignoranza della superstizione. Siamo intorno al '400 e la vita del protagonista e della sua famiglia è assillata dalla presenza di creature invisibili e il fanatismo religioso. Paragonerei tale racconto al Labirinto del fauno per il suo tono fiabesco e il finale tragico. Il titolo riporta le parole del nonno nei riguardi del nipote: è un mondo brutto, cattivo, che non ha spazio per l'innocenza.


Come ho detto prima, mi scuso se non ho approfondito tutti i racconti, ma ho preferito analizzare quelli che maggiormente mi hanno colpito per profondità, bizzarria oppure caratterizzazione delle creature o dei personaggi. Gli altri racconti trattano di svariate creature, come il Mazzamurello in Toc Toc, il Cucibocca in Glossa Tyche, dove si mescola tradizione ed esoterismo, oppure il regolo in Super Aspidem Et Basiliscum Ambulabis. La peste di Napoli ha un'interessante interpretazione della figura del Munaciello, molto piú realista di quella del racconto Ombre.  Curiosa è la figura del benandante, in un racconto, Il dono della Benandante, è positiva, nell'altro è negativa in quanto tali personaggi sono stati emarginati e braccati, fino quasi a scomparire. Nel racconto E fine della storia, il benandante è una figura rancorosa e disillusa, emarginata in un mondo dove la magia sta scomparendo, ed è diventato proprio come coloro a cui un tempo dava la caccia. Tale racconto non è solo la conclusione delle vicissitudini del protagonista, del suo ritrovato finale felice, ma è anche la conclusione dell'antologia.

In tutti questi racconti, superstizione e religione si mescolano assieme, creando storie di dibattito o di sopraffazione.
Folklore è un'antologia impegnativa, con tematiche cupe e crude anche se non tutti i racconti sono classificabili come d'orrore.

Sono rimasto particolarmente colpito da tale lavoro e sarei felice di leggere ulteriori volumi in futuro. E poi, come ho detto, magari troverò il tempo per fare un paragone tra il primo volume di Bestie d'Italia e il primo volume di Folklore. Ringrazio la Watson per avermi dato la possibilità di scoprire diverse creature delle nostre leggende.

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Intanto concludo suggerendovi questo prodotto in caso vogliate pulire le vostre lenti a contatto.





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