Fantasy e diversità: Fantastico e non binarismo con Francesca Cappelli
Micio si sistema il panciotto, mentre sale sulla poltrona. Gli ingranaggi sul suo cappello girano da soli, quasi fossero vivi e soprattutto silenziosi. Un chiacchiericcio si diffonde nel'aula: i personaggi in cerca d'autore paiono infischiarsene beatamente della sua presenza. Micio sospira. "Sono circondato da bambini" pensò e in effetti bambini lo erano, pronti per nscere in qualche storia. Rimane in silenzio, poi spalanca la bocca e un possente ruggito si diffuse per tutta la sala. Il pubblico tace, spaventato da quel suono brutale. Micio mostra un sorriso soddisfatto, i suoi occhi paiono brillare sotto i riflettori.
La banda dei coniglietti inizia a suonare la musica d'introduzione, mentre dal tendone entra in scena Francesca. I suoi capelli sono a metà tra un castano scuro, con le punte di un blu elettrico.Indossa un cilindro nero circonato da due grandi occhiali da aviatore, una camicia bianca e un corsetto di cuoio addornato con catenelle dorate. Sul collo dondola una collana con una chiave come ciondolo. Indossa pantaloni anch'essi neri e lunghi anfibi. S'avvicina a grandi passi, salutando il pubblico e sedendosi vicino a Micio.
“Ciao Francesca, rieccoci di nuovo questa volta per parlare di tematiche di genere” ( brusio di sottofondo, Micio guarda indispettito il pubblico) “Per la miseria, fate silenzio. Siete bambini o personaggi?”. (“Entrambi” grida una voce stridula in lontananza, ma Micio non lo ascolta) “Ritornando al discorso principale, Francesca, parlaci un po’ di te e del tuo rapporto con la tua identità di genere. Come hai capito di essere non binario? E soprattutto, se dovessi spiegarlo a una persona che non ne ha mai sentito parlare, che parole useresti?”.
Ciao e grazie per l’accoglienza.
Una persona non binaria è qualcuno che non si riconosce nel binarismo maschio/femmina. Le identità di genere non binario sono molte, con varie sfaccettature. Io mi sento bene della definizone “agender”, ovvero senza genere. In pratica, il genere non è mai stato parte della mia identità. Ovviamente ne ho fatto esperienza, come chiunque, ed è qualcosa che ha influito e anche molto pesantemente sulla mia vita, ma per me è una cosa esterna. Non è diverso dal fatto che ho gli occhi marroni. Se mi chiedessero di dire chi sono, non inserirei mai la categoria del genere fra i tratti importanti.
Credo fermamente che “maschio” e “femmina” siano categorie culturali. Presumo che in un mondo perfetto io non sarei una persona non binaria, ma semplicemente una persona – come tutte le altre. Ma questo è ben lontano dall’essere un mondo perfetto, e l’idea di prendere le distanze dal concetto di genere è molto liberatoria, per me. Non voglio “sentirmi speciale”, come in tanti dicono alle persone come me, né è un modo per sfuggire alla negatività che la nostra società riversa addosso alle donne, anche perché continuo ad avere un nome e una presentazione femminili, e in molti ambienti non parlo del mio non binarismo. Quindi non sfuggo proprio a niente. Ma credo sia la riprova che la mia esperienza è frutto di una ricerca onesta.
Come l’ho capito? Ho sempre avuto un rapporto complesso con il genere, con molta sofferenza, soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza. I gender studies e il femminismo, scoperti all’università, mi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo e capire alcune cose di me. Una decina d’anni fa, credo, avvicinandomi all’attivismo LGBTQ+ ho scoperto il termine e il concetto di non binario. Pian piano ho cominciato a capire che “rinunciando” al genere sarei stato benissimo. E così ho trovato il mio equilibrio.
“Ho notato che c’è una particolare tensione nella comunità transgender nell’accettare le persone non binarie. Da quel che ho capito osservando certi loro comportamenti, molti hanno paura che la loro identità di genere venga invalidata agli occhi della maggioranza a causa dei “nuovi arrivati”, eppure diverse persone non binarie soffrono anche di disforia di genere fisica, non solo sociale (come nel caso dello youtuber CopsHateMoe, ve lo consiglio, è molto simpatico). E ho scoperto, grazie a reddit, che esistono persone transmedicaliste anche tra gli individui non binari. Quindi in un certo senso pare una guerra di tutti contro tutti. Qual’ è la tua opinione riguardante tali conflitti? Ti sei mai sentito discriminato dentro la comunità?”.
La comunità LGBTQ+ è un insieme di esseri umani: sfuggire ai conflitti è quasi impossibile, purtroppo. Io mi sento di capire le persone trans binarie, soprattutto quelle più adulte, vissute in periodi in cui le loro soggettività erano ancora più rifiutate e insultate di oggi. Adesso vedono queste nuove generazioni con modalità e parole diverse, e forse hanno paura che le loro lotte vengano in qualche modo prese meno sul serio. Ma non è così, e rifiutare l’autodeterminazione delle persone non binarie è comunque una forma di discriminazione. Anche perché le storie non binarie sono tante e differenziate: c’è chi sceglie percorsi che prevedono interventi chirurgici o farmacologici, c’è chi non lo fa. Ma lo stesso vale per le persone trans binarie. E io credo che sia giusto. Ciascunә decide per il proprio corpo e le proprie parole.
Personalmente non mi sono mai sentito discriminato dentro la comunità, perché frequento ambienti davvero inclusivi e perché anche tra i miei amici queer ci sono persone estremamente aperte. Però mi capita di leggere e sentire interventi che un po’ fanno male.
“Parlando di linguaggio inclusivo, so che la situazione nelle lingue romanze è più difficile rispetto all’inglese, e credo che bisognerebbe trovare delle soluzioni diverse dalla cultura anglosassone. Ho visto diverse proposte, l’asterisco, la schwa, la U, la chiocciola, la X, però ognuna aveva dei problemi, o per altri minoranze, tipo i disabili ipovedenti o per motivi fonetici o per la costruzione del plurale. Nel caso della X in Latinx, c’erano delle persone ispanoamericane che avevano percepito ciò come un imperialismo linguistico nordamericano piuttosto che una parola inclusiva. Parlando della schwa e della U, alcuni hanno posto la osservazione che in realtà nei vari dialetti della penisola, come il sardo ad esempio, hanno la stessa valenza del maschile neutro italiano. Avevo sentito una proposta interessante in un dibattito però poco conosciuta, forse mediatrice tra chi non vuole cambiare la struttura e chi la vuole cambiare, ovvero nel rendere più neutro il significato delle parole e non il significante. Questo mi ha riportato alla mente un esempio in cui mi sono imbattuto, in un videogioco fantascientifico di nome Mass Effect.
La serie è molto bella, la consiglio caldamente, nella storia è presente una specie aliena monosessuale, ovvero sono tutte biologicamente XX e tutte donne, proprio come la lucertola Cnemidophorus, che si riproduce per partenogenesi e sono tutte femmine. Le asari hanno una riproduzione molto strana e complessa, ma non è l’argomento principale di questo spettacolo. Ad ogni modo, l’orientamento sessuale e l’identità di genere umane non potrebbero applicarsi alla stessa maniera di questa specie. Quando le asari vogliono mettere su famiglia, si scelgono un compagno di qualsiasi specie e i ruoli familiari vengono divisi in Madre e Padre non in base al genere ( guai a chiamare due asari mamme, ti accusano di antropocentrismo), ma in base all’azione durante la riproduzione. Quindi hanno usato due parole che per noi sono legate a due identità di genere ben precise, per loro hanno un significato neutrale. Per dire, se un’asari si mettesse con una donna umana, il ruolo del padre spetterebbe alla seconda pur essendo donna. Quindi la Bioware è riuscita a dare un significato più neutrale a due parole fortemente binarie, cambiando solo il significato. Abbiamo anche dei piccoli esempi nella realtà, come i pronomi di cortesia lei e voi, che hanno sempre avuto un significato bivalente. Ecco, essendo che tu sei insegnante d’italiano, cosa ne pensi delle varie soluzioni e soprattutto quest’ultima? Pensi che cambiando significato potrebbe emergere il neutro femminile per compensare il neutro maschile, magari creando due tipologie di neutri? “.
Il linguaggio inclusivo è un argomento che mi appassiona e mi
regala molte gioie e molte parolacce. C’è bisogno di parlarne, di studiarlo, di
trovare soluzioni nuove e funzionali per ciascuna persona. Personalmente, mi
piacciono la U e la schwa, proprio perché sono suoni presenti nell’italiano (la
schwa solo in alcuni dialetti, ma c’è.) È vero che localmente vengono usati per
il maschile, ma non sono immediatamente riconoscibili come il maschile e
femminile indicati da altre desinenze. Sono forse le soluzioni che suonano meno
strane e portano meno problemi a livello di software per la lettura per le
persone ipovedenti.
L’idea di rendere neutro il significato di certe parole (o del maschile
sovraesteso in generale) è un’altra strada, e credo sia quella più semplice,
forse quella che verrà percorsa. Ma per il momento è bene sperimentare. Rompere
– in tutti i sensi. Un asterisco, una schwa, rompono gli schemi e rompono le
scatole a chi non vuole mettersi in discussione. Ce n’è bisogno. È visibile,
stona, stride. Fa porre domande.
Poi c’è sempre la strada della perifrasi. Prediligere sempre termini più
neutri, formulare frasi in maniera da usare meno possibile il maschile
onnicomprensivo. È una modalità che uso spesso in classe.
Personalmente, quando vedo utilizzare il linguaggio inclusivo, specie in
comunicazioni che riguardano anche me, mi sento particolarmente bene.
L’esempio di Mass Effect (che non conosco) è interessante soprattutto perché mostra che la fiction può aiutarci tantissimo a ragionare su determinate questioni, fornendo idee e mostrando strade, e soprattutto sfidando certi concetti che a volte ci sembrano incisi irrimediabilmente dentro di noi, mentre non è così.
“Avrei una domanda da porti: sappiamo che la lingua dà un corpo alle idee, le concretizza e le rende percepibili e trasmissibili. In alcune civiltà dove si usa o si usava il neutro, prendiamo ad esempio quella latina, ma anche quella pechinese odierna o la lingua inglese, vi sono o stono stati comunque grossi problemi sociali. Sebbene queste lingue presentino o un neutro legato a oggetti o animali o piante oppure abbiano una struttura della lingua quasi neutrale, come ad esempio il pechinese, vi è comunque presente una forte forma di sessismo e binarismo. Ad esempio nella società cinese, soprattutto quella Han, hanno sterminato diversi infanti di sesso femminile per fronteggiare la sovrappopolazione e a causa di ciò odiernamente in Cina c’è il fenomeno delle “mogli rapite”, ovvero di un mercato nero di schiave comprate come mogli da altri paesi, mentre nella società romana vi era un forte pregiudizio nei confronti nei neonati intersessuali e discriminazione verso le donne ( quest’ultime più in periodo repubblicano). Qual è la tua opinione a riguardo? Il sessismo potrebbe avere origini non solo linguistiche?”.
Il sessismo ha certamente origini non solo linguistiche, e anche
se le lingue contribuiscono a formare il pensiero, è vero anche il contrario.
Pensiero, cultura e lingua si inseguono, si plasmano. Le ragioni del sessismo
sono svariate, in tutte le civiltà. Inoltre spesso il neutro c’era, sì, ma
identificava le cose inanimate o gli animali. Le persone erano sempre concepite
come maschi e femmine.
Allo stesso tempo, cominciare a lavorare sulle parole per cambiare le cose è
importante. A forza di usare parole diverse, magari iniziamo a pensare pensieri
diversi.
“Non ho visto molti personaggi non binari, però qualcuno potrei citarlo: Stevonnie di Steven Universe, Blanche di Pokemon o il personaggio in John Wick tre, interpretato dall’attore non binario Asia Kate Dillon. Nel caso di Stevonnie, l’autore, anch’esso non binario, ha voluto creare sia un personaggio il cui genere non rientrasse nei binari, sia come metafora della relazione d’amore tra Steve e Connie, passando il messaggio che l’amore è qualcosa che unisce le persone ed è senza genere di per sé. Come pensi si possa costruire un personaggio non binario? Quali sono gli stereotipi da evitare? “
La mia prima risposta è molto banale: un personaggio non binario funziona se è prima di tutto una persona. Che è una risposta valida per qualsiasi categoria minoritaria. Se parti dall’idea che la personalità del tuo personaggio sia “è non binario”, si parte già malissimo. Se il tuo personaggio, che so “è una persona rumorosa e caotica ma molto generosa, suona il basso elettrico, si tinge i capelli di viola e mangia troppi cibi fritti”, e poi, accidentalmente è anche non binario, ecco, c’è già qualcosa su cui lavorare.
Gli stereotipi da evitare? Uno è l’androginia a tutti i costi. Ci può stare:
molte persone non binarie hanno una presentazione volutamente androgina, ma non
tutte. Mi piacerebbe vedere più personaggi non binari che hanno un’apparenza
maschile o femminile.
Un altro stereotipo è quello dell’essere non umano. Spesso, nel fantastico, il
non binarismo è attribuito a creature “altre”. Va benissimo, può essere un punto
di partenza o un modo per scardinare i concetti considerati immutabili. Ci sono
degli esempi meravigliosi di ciò: cito uno dei miei preferiti: Desiderio, uno
degli Eterni di “Sandman”, il magnifico fumetto scritto da Neil Gaiman. Gli
Eterni sono personificazioni di concetti che accompagnano la storia umana fin
dalle origini. Oppure ci si sposta nel campo degli alieni. Anche qui, ci sono
opere incredibili: di recente ho letto “The left hand of darkness” di Ursula K.
Le Guin, capolavoro della fantascienza del 1969, dove l’ambasciatore di una
federazione di pianeti si trova in missione su un pianeta in cui gli abitanti
sono senza genere. La fatica del protagonista nell’accettare questa cosa, il
lavoro su se stesso per capire, sono tra gli aspetti più interessanti
dell’opera.
Però, ecco, siamo sicuri che l’unico modo di far capire ai lettori/spettatori
del 2020 il concetto di non binario sia di accostarlo a qualcosa di “altro”?
Non mi dispiacerebbe vedere un po’ di “banali” esseri umani.
Quindi, in conclusione: va benissimo scrivere di personaggi non binari
androgini o non umani, però va fatto con competenza, o potrebbe passare l’idea
che chi non ha una presentazione androgina non è un “vero” nb, oppure l’idea
che ci sia qualcosa di poco umano, in noi.
“Ho notato che non tutte le persone non binare inglesi utilizzano il they, alcuni anche pronomi she, he, pur considerandosi persone non binarie. Ad esempio Amandla Stenberg, ovvero la piccola Ruth in Hunger Games, utilizza sia she che they. In questo caso, se una persona non binaria in un romanzo volesse esprimersi al femminile per intendere un’identità neutra vicina a quest’ultimo, potrebbe utilizzarlo o verrebbe considerato discriminante? Oppure si potrebbe mantenere il neutro maschile italiano? Tu quali soluzioni hai considerato per l’identificazione di personaggi non binari?”.
Penso che vada benissimo raccontare di
personaggi che specificano il loro non essere binari ma poi usano pronomi e
desinenze maschili o femminili. Per quanto riguarda le mie storie, ho trovato
tre soluzioni:
- in una, il personaggio non binario usa alternativamente maschile e femminile.
- in un’altra storia, si lascia intendere che nella lingua locale esista un
neutro e che il personaggio nb lo usi per parlare di sé, anche se nella
narrazione io uso il maschile.
- ho scritto una storia ambientata in un mondo molto aperto e tollerante, dove
sperimentare con i generi e con gli orientamenti è la norma. Lì c’è il neutro
nella lingua, e ho provato a renderlo con la u. L’ho fatto perché i personaggi
non binari e le loro scene non erano molti, e ho pensato che questo piccolo
esperimento potesse funzionare, senza spaesare troppo il lettore.
“Parlando di antagonisti, come pensi si possa creare un buon cattivo non binario senza cadere negli stereotipi?”.
Ti risponderei: esattamente come si crea un buon personaggio non binario “eroico” o di qualsiasi altro tipo. I problemi sono gli stessi: è importante non far sentire il non binarismo come una specie di androginia stereotipata o come qualcosa di “poco umano”.
“Quali stereotipi proprio non sopporti o che vorresti ribaltati?”
Ovviamente non sopporto gli stereotipi
sessisti: la donna sempre bisognosa d’aiuto, il personaggio femminile con la
storyline basata solo sull’amore, la donna badass che dice “io non sono come
tutte le altre”… Ma anche i personaggi maschili dipinti come macchiette
machiste. Oppure, i padri che non sono capaci di fare i padri e quindi quando
la madre va via, in casa succede il delirio: ecco, quello è uno stereotipo che
vorrei davvero vedere bruciare.
Non sopporto poi quando l’intera personalità del personaggio è basata sul suo
essere queer. Odio i personaggi bisessuali trattati come “gay indecisi” o
“etero curiosi”. Odio ovviamente i personaggi queer messi lì per fare colore e
battute imbarazzanti.
“Vorrei introdurre il tema delle divinità o entità concettuali. Si sa che fin dall’antichità ci sono state dei con identità binarie e non, la loro natura mutaforma rendeva la cosa molto labile. Potrei citare la figura della Morte, la cui maggior parte delle volete non ha genere, insomma è uno scheletro con una toga nera. Avevo letto un articolo su fantasy magazine e su reddit dove si accusava, nel primo caso il dio Slaanesh e nel secondo i cenobiti di Clive Barker di essere discriminanti perché creature malvage senza genere associate a perversioni sessuale. A parte che in Warhammer tutti gli dei del caos hanno il pronome it, non solo Slaanesh, e quindi sono al di là di qualsiasi genere umano, penso che nel caso del gioco le critiche andrebbero rivolte ad altre tematiche, come ad esempio al regime teocratico. Nel caso dei cenobiti, son semplicemente demoni così scarnificati e mutilati che non si capisce esattamente di quale genere siano. Ad ogni modo, cosa ne pensi di questa affermazione? Se si creassero entità di qualsiasi morale o amoralità, senza un genere, potrebbe essere considerato discriminante?”.
No, non credo sia discriminante, e mi riallaccio a quello che ho già detto: si può fare, basta che non ci sia solo quello. Perché se il fantastico ha da offrire personaggi non caratterizzati dal genere solo quando parla di mostri, demoni, alieni o intelligenze artificiali, allora sì, potremmo avere un problema. Se invece scrivessimo più personaggi umani (o simil-umani, come elfi, nani, fate etc.) con questa identità di genere, allora potrebbero essere il perfetto contraltare alle entità “altre” prive di genere.
“C’è una scena di Harry Potter e il principe mezzosangue che mi ha fatto riflettere su come noi percepiamo la violenza di genere. Il padre di Tom Riddle è stato schiavizzato con una pozione d’amore dalla madre del futuro lord Voldemort, Merope Gaunt. Cioè ha reso il concepimento uno stupro a tutti gli effetti ed è per questo che, dopo che la donna smise di somministrare il filtro, l’uomo scappò via terrorizzato, lasciandola da sola. Quasi tutti gli articoli di Pottermore ritraggono Merope come una vittima da compatire, quando a tutti gli effetti è una donna squilibrata e stupratrice.
La stessa pietà non però viene mostrata quando a stuprare è un uomo, pur avendo un’infanzia tragica. Tale pensiero tossico poi è ribaltato nel genere romance (etero e no), dove la violenza compiuta, soprattutto dagli uomini, viene fatta passare per rapporti consensuali. Perfino nel romance per uomini omosessuali, tali azioni sono gradite ai lettori. Quindi secondo te bisognerebbe iniziare a lanciare il messaggio che la violenza non ha un genere proprio per abbattere tali pregiudizi? Magari cercando di mostrare i fatti come sono, ovvero che sono situazioni tossiche e sbagliate?”
Sì, assolutamente, c’è tanto da ripensare in come raccontiamo certi temi. Quello della violenza di genere è lampante. Non penso che Merope Gaunt sia stata una vittima. O meglio: vittima per certi aspetti, carnefice per altri. Quello che ha fatto è uno stupro a tutti gli effetti. Così come sarebbe il caso di chiamare con il suo nome l’abuso romanticizzato che troviamo in tante storie romance, sia etero che omosessuali.
Poi è chiaro che la fiction e la realtà sono cose ben distinte: la fanfiction dove il personaggio cattivo rapisce il protagonista, prima lo maltratta e poi se ne innamora può soddisfare alcune fantasie, e non mi scandalizza. In altri casi sarebbe opportuno pensare dieci volte a ciò che stiamo scrivendo. Per esempio, tutte quelle saghe romance o paranormal romance in cui il protagonista maschile ha comportamenti assolutamente tossici un po’ mi preoccupano, perché sono mirate a un pubblico molto giovane. Infine, sì, ovviamente la violenza non ha genere, ma credo davvero che tanti di questi problemi abbiano comunque la loro radice nel sessismo e nell’odio profondo verso la donna (in parte anche l’omofobia viene da lì.) È comunque necessario ripensare sempre le nostre storie e le nostre parole, togliendo le incrostazioni della mentalità passata.
“Dato che sei già stato ospite nel mio umile blog, parlaci un po’ dei tuoi libri, attuali e futuri”.
Ho pubblicato due romanzi e vari racconti in alcune antologie. I miei romanzi sono urban fantasy, i racconti toccano varie declinazioni del genere fantastico. L’ultimo romanzo uscito è “L’altra anima della città”, edito da NPS Edizioni. C’è un liceale con la testa troppo piena di cose che si ritrova coinvolto nei guai sovrannaturali della città di Firenze e delle sue versioni alternative in altri mondi. Insieme a lui, un mago caduto in disgrazia (gay e gender non conforming, per rimanere nel tema delll’intervista), il commesso esasperato del mago, una maestra anziana e autorevole, una migliore amica affidabile e razionale, una spadaccina, una portinaia dimensionale, vari spettri, creature bizzarre e abitanti di molti mondi.
Ho da poco finito di revisionare un romanzo high fantasy con un’ambientazione
un po’ ispirata al Nordafrica medievale. Si tratta della storia di cui ho
parlato sopra, in cui ci sono enorme tolleranza e l’uso abituale del neutro. Praticamente
l’intero cast è queer. L’anno prossimo spero di trovargli una casa editrice.
(Damiano, disengato da Lilla Bullero)
Ora ho per le mani alcuni racconti e una saga che scrivo da diversi anni: il
Mediterraneo tra steampunk, magia, post-apocalisse e futuro da riscrivere.
Anche qui il tema del genere e dell’orientamento sessuale hanno grande
importanza. Ci sono vari personaggi trans, binari e non binari.
È importante per me, parlare di queste cose nelle mie storie. Identità di
genere e orientamento sessuale sono una ferita profonda della mia vicenda
personale. Spero di far sentire bene qualcuno, raccontando queste esperienze.
Io ne avrei avuto bisogno, da ragazzino.
(Ginevra di inhm.art)
"Grazie Francesca per averci aiutato a are chiarezza sull'argomento, magari in futuro qualche personaggio potrà nascere grazie ai tuoi prezioni consigli. Ed
eccoci arrivati alla fine di questa puntata. Spero sia stata di vostro
gradimento e spero possa aprirsi un dibattito costruttivo. Se per caso
foste interessati all'intervista che ho fatto a Francesca inerente al suo libro " L'altra anima della città".
Prima di lasciarvi definitivamente, vorrei
parlare brevemente di Lentico. Volete colliri a buon
prezzo? Necessitate
di lenti a contatto? Il sito farà per voi! Grazie a
voi per aver partecipato a questo episodio, arrivederci alla prossima!".
LINK D'INFORMAZIONE: Per chi volesse farsi una sua opinione, qui trovate l'articolo di Fantasy magazine, personalmente l'ho trovato interessante anche se su alcune cose sono in disaccordo, tipo la questione sulla discriminazione di Slaanesh. La discussione su reddit è stata cancellata, ma credo che se digitiate "are cenobites transphobic?" forse potrete trovare qualcosa.
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